#17 Ci vuole un villaggio I Ancora un po' d'estate
Prima di affrontare settembre e i buoni propositi, un ultimo tuffo tra viaggi, musei (anche per bambini) e libri
Ehi!
Rieccoci qui! Agosto è volato via ed è tempo di quel mese che sa di quaderni nuovi e buoni propositi - categoria della quale, non so tu, ma io sono vera campionessa. In passato, vivevo con frustrazione l’idea di riuscire poi, nel corso dell’anno, a mantenerne ben pochi. Adesso ho capito che sono comunque una spinta a pensare e progettare il futuro e nuovi modi di essere, pensare, vivere. Allora, avanti tutta a settembre con il suo carico di belle speranze. Ma prima, facciamo un ultimo tuffo nell’estate tra viaggi, musei (anche per bambini) e libri.
Viaggiare è anche un po’ cambiare
In gergo tecnico si chiamano “repeaters”. Ne ho scritto infinite volte nei miei articoli di turismo: sono coloro che tornano in vacanza in un posto nel quale sono già stati, magari per anni. Ogni volta che ne scrivevo mi domandavo: ma con tutto il mondo a disposizione da esplorare e conoscere, perché tornare in vacanza sempre nello stesso posto? Poi, è successo che quest’estate sono diventata anche io una repeater. Per una parte delle vacanze sono tornata dove ero stato lo scorso anno, in Trentino: stessa località, stesso albergo, in alcune giornate persino stesse passeggiate in quota. E sono stata bene.
Nel lungo e itinerante stop agostano che quest’anno mi sono imposta per tirare il fiato, ho riflettuto molto su come negli ultimi anni sia cambiato il mio concetto di vacanza. Coi bambini, gioco forza succede. Cambiano i ritmi, i tempi, le necessità. Ma non è solamente questo. Se ripenso al “prima” mi rivedo viaggiatrice affamata e impaziente di fare, vedere, conoscere. Di andare lontano o anche vicino, ma sempre con il desiderio di non perdere nulla o il meno possibile. Poi è successo che ho iniziato a muovermi da sola (o quasi) con una bambina piccola e che tutto si complicasse un po’, che arrivasse una pandemia a ridimensionare le pretese geografiche, che quella bambina mi imponesse infiniti tuffi a bomba in piscina, con buona pace di tutto il resto. E ho imparato a stare. O, almeno, sto provando a farlo. Certo, ci sono momenti in cui scalpito, nei quali la vecchia viaggiatrice che è in me torna fuori e si spazientisce pensando a tutto quell’altro di cui il tempo vuoto della vacanza potrebbe essere riempito. Però, ho anche scoperto - io marina da sempre - che poche cose mi rilassano e riconciliano come camminare in montagna, che è bello cucinare in compagnia per una festa a casa di amici di amici, che impiegare quasi una giornata di viaggio in treno per coprire pochi chilometri chiacchierando e giocando a carte dilata il tempo invece che ridurlo. Che il mio corpo con il caldo eccessivo non ce la fa proprio ad affrontare lunghi tour assolati come in passato e che in tempi di crisi climatica è necessario accettarlo e adattarsi. E anche che coi tuffi a bomba mi diverto ancora un sacco.
Come scrivevo qualche tempo fa a un amico diventato da poco papà, coi bambini i concetti di stanchezza, tempo, energia si rivoluzionano ed è un continuo riallinearsi su misure diverse, ma anche questo - ho imparato in questi anni da mamma - fa parte del grande apprendimento che l'essere genitori porta con sé: si scopre un modo di essere se stessi tutto nuovo e spesso impensato prima.
Ho fatto pace con l’idea che il mio modo di fare vacanza e di viaggiare sono cambiati e cambieranno ancora e ancora e ancora nel corso dei prossimi anni, che è normale e giusto così. Per il momento, porto a casa la consapevolezza non scontata che si può fare meno, anche in vacanza, senza sentirsi da meno. E che anche ritornare può essere molto bello:
“Bisogna vedere quello che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate. Vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva. Vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui posti già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.
Da “Viaggio in Portogallo”, di José Saramago
Una cosa da vedere (per tutti)
Una confessione, però, devo farla: ho fatto i tuffi a bomba in piscina, ma poi sono riuscita a portare la piccola anche in un Museo Archeologico…. e le è piaciuto (pur continuando lei a preferire i tuffi, chiaramente)! Il merito è tutto del museo, che è quello di Aquileia e conserva reperti romani davvero importantissimi rinvenuti in questo piccolo centro, Patrimonio Unesco, famoso soprattutto per i meravigliosi mosaici paleocristiani: di fatto un museo, a sua volta, a cielo aperto. Ai bambini, nel museo al chiuso, viene dato un kit-zainetto con tanto di mappa speciale, matite colorate e lente di ingrandimento per scoprire i reperti e l’antica storia romana di Aquileia come in una sorta di caccia al tesoro. È finita che anche noi grandi lo abbiamo visitato seguendo la mappa dei bambini apprezzandolo, forse, ancora di più: una conferma che basta davvero poco per rendere gli spazi più fruibili per loro e, di conseguenza, per tutti.
Penso all’inutile polemica che quest’estate ha impazzato sui social su chi ha figli e chi no, sui luoghi e le situazioni adatti ai bambini e quelli che non lo sarebbero. Su questo, per me valgono sempre le parole della saggia Lia Calloni di Gaia Family Hub, progetto che da anni si occupa di rendere a misura di bambini gli spazi della socialità: è vero che possono esserci situazioni non adatte ai più piccoli, va benissimo che ci siano luoghi “children-free” (sfido qualunque genitore a non apprezzarli quando non è in compagnia dei propri figli), ma date alcune eccezioni facciamo però in modo che tutti gli altri spazi pubblici siano a misura di tutti, anche dei bambini, che sono cittadini (e, diciamolo, consumatori) esattamente come gli adulti.
E tu, hai visitato posti e luoghi che ti hanno colpito perché pensati in maniera intelligente a misura di bambini? Dimmelo, così spargiamo la voce!
Un libro
Ancora a proposito di viaggio, mentre ero nello stesso posto-albergo-montagna, ho letto “Il figlio del figlio”, il primo libro del 2010 dello scrittore Marco Balzano. È la storia di un nonno, un padre e un figlio ventiseienne che affrontano un lungo viaggio in macchina per andare a vendere la vecchia casa di famiglia a Barletta, in Puglia: una storia sulle radici, le identità, il rapporto tra le generazioni, ma anche sulla genitorialità vista dal lato maschile. Un libro a “rilascio lento”, sul quale mi è sembrato di sorvolare veloce dapprima per tornarci poi, una volta finito, più e più volte.
Forse, perché la storia di Nicola, il giovane protagonista, è un po’ anche la mia. Anche la mia, come la sua, è infatti una storia familiare nella quale il passaggio da Sud a Nord ha conciso con quello generazionale, dai nonni fino a me. Mentre leggevo, mi sono ricordata di tutte le volte che ho detto di non sentirmi davvero “milanese”, io che sono nata e cresciuta a Milano, ma dentro un mondo fatto di sapori, profumi, modi di dire e storie del Sud. Della sensazione di “casa” che avverto ogni volta che a Sud ci vado, senza però che quella lo sia veramente “casa” (come invece è, almeno in parte, per mio papà, che in Basilicata ha vissuto fino a 11 anni, come il papà di Nicola). Al dialetto arrangiato all’italiana di mia nonna, a quello di mio papà che riaffiora solo quando torna al paese e si arrabbia, a quei modi di dire dialettali che io, mia sorella e le mie cugine usiamo unicamente come battuta, ma che si portano dietro un pezzo del nostro mondo familiare. A quando dico, senza neanche scherzare troppo, che il mio riposo eterno, quando sarà, vorrei fosse in quel piccolo cimitero del paese dei nonni in provincia di Potenza, dove sempre soffia forte il vento.
“Visto che io e mio padre quando siamo soli, non ci diciamo mai niente, visto che non ci parlammo nemmeno quella sera, camminai guardandolo di sbieco, senza staccargli un momento gli occhi di dosso. Si capiva che lui cercava in giro pezzi di sé, dei suoi anni di scuola, della sua giovinezza. Nonno no, nonno Leonardo cercava un porto sepolto, la sua città sotto il mare, che per il crollo improvviso di un’onda riaffiorasse in superficie. Invece io, che in quella città avevo solo ricordi di bambino e di ragazzo, niente memoria concreta, solo atmosfere, non potevo che rimanere in silenzio durante le passeggiate verso la Barletta vecchia delle lanterne e dei sampietrini, aspettando di afferrare al volo un loro ricordo per tradurlo nella mia lingua, nella mia lontananza da quel passato. Questa fu la cosa più bella di quel viaggio, tradurre per capire quello che ancora mi appartiene, quello che è mio nonostante sia soltanto un riflesso”.
È vero, come scrive Balzano, che ci sono cose che nel correre delle generazioni diventano solo un riflesso, pur continuando ad appartenerci e a fare di noi ciò che siamo. Nicola lo capisce lungo il suo on-the-road Milano-Barletta, che è anche un viaggio a ritroso nel passato familiare, nelle relazioni tra genitori e figli e dentro i se stessi che nel corso del tempo ciascuno di noi abita.
Ed ecco che anche questo primo numero dopo le vacanze, come agosto, è volato via. Oggi per moltissimi, me compresa, è come fosse il primo giorno dell’anno. Che sia, allora, un anno buono. Sarà bello passarlo un po’ insieme 🧡
Ci leggiamo, come sempre, tra due settimane 🧡
“Ci vuole un villaggio” è la newsletter che prende spunto da ciò di cui parlano i genitori la mattina fuori da scuola per provare ad allargare lo sguardo. Perché ho scelto questo titolo e il senso di questa newsletter, lo trovi spiegato meglio qui, nel primo numero.
Io sono Silvia De Bernardin, giornalista freelance e mamma. Da anni scrivo di genitorialità, ma anche di lavoro, salute, alimentazione, sostenibilità e turismo, tutte cose che hanno a che fare l’una con l’altra molto più di quanto sembri. Qui ci troverai anche un po’ di questi temi. Mi trovi anche su Instagram e Linkedin e sulle pagine digitali, cartacee e social di Giovani Genitori, Vegolosi MAG e Job in Tourism.
Quanto è importante essere adattabili e non smettere mai di esplorare noi stessə, crescono loro, cresciamo noi, cambiamo e in ogni fase abbiamo diverse priorità. Grazie Silvia ♥️
E niente, mi hai fatto commuovere :)