#20 Ci vuole un villaggio I "Ma come si fa?"
A proposito di quando a scuola mancano il tempo pieno e gli insegnanti, ma anche delle cose belle che la scuola, da sola, è in grado di fare
Ciao!
Io sono Silvia De Bernardin e questa è “Ci vuole un villaggio”, la newsletter che racconta il cantiere del nuovo villaggio, quello che ancora oggi serve per crescere bambine e bambini.
Rieccoci qui. È passato un po’ di tempo dall’ultimo numero, lo so, ma ottobre è stato un mese lunghissimo, pienissimo, faticosissimo. E alla fine, anche un po’ liberatorio. In fondo, è il mio mese e nonostante quest’anno abbia picchiato giù duro, ha poi saputo farsi perdonare portando un desiderio a diventare realtà e mettendo ordine tra i pensieri confusi di ciò che sarà per il nuovo anno.
Ora, però, siamo a novembre ed è tempo di riprendere i nostri discorsi: lo facciamo con la risposta a una domanda che mi è stata fatta qualche giorno fa.

“Ma come si fa (senza tempo pieno)”?
Una cara amica e collega, che ha due bambini più piccoli della mia, mi ha chiesto un consiglio su come scegliere la scuola primaria. “Ho scoperto che qui da noi quasi tutte fanno la mezza giornata. I bambini escono alle 13. Ma come si fa?”, mi ha domandato. Già, come si fa? Nel provare a risponderle mi sono ricordata dei dati sulla scuola che mi capita di leggere periodicamente da vari report. Ce ne sono due, in modo particolare, che mi sconvolgono ogni volta. Quello sulla non conformità degli edifici scolastici (più del 60% delle scuole statali italiane - sì, hai letto bene - non dispone di tutte le attestazioni relative ai requisiti di sicurezza). E quello sul tempo prolungato:
in Italia, solo 2 alunni su 5 della scuola primaria, ovvero mediamente poco meno del 40%, beneficiano del tempo pieno perché mancano le condizioni strutturali e i docenti per poter garantire le 40 ore settimanali. Le percentuali più basse sono in Molise (9,4%), in Sicilia (11,1%) e in Puglia (18,4%). Nelle Regioni nelle quali l’offerta di tempo pieno garantito è più alta - ovvero Lazio, Toscana e Lombardia - si raggiunge al massimo il 58% (anche in questi casi, quindi, solamente poco più della metà della popolazione scolastica delle elementari frequenta il tempo pieno).
Mi sconvolgono perché io abito nella prima cintura intorno a Milano e, nel tempo, mi sono accorta che da qui spesso è difficile rendersi conto di come stiano le cose altrove. La mia amica abita in Brianza, non molto distante, eppure probabilmente avrà difficoltà a trovare una scuola elementare che garantisca a suo figlio il tempo pieno. In Italia la scuola non è attrezzata, dal punto di vista strutturale, dei servizi e del numero degli insegnanti, con i quali non riesce a coprire gli orari - basti pensare a quello che è successo all’inizio di quest’anno scolastico quando moltissime scuole non sono riuscite a garantire per settimane l’orario pieno perché i docenti dovevano ancora essere assegnati a causa di un pasticcio procedurale relativo ai concorsi per le nuove assunzioni legate al PNRR (lo spiegano bene questo articolo e il Data Room di Milena Gabanelli sulla “fabbrica dei precari”).
Come si fa, chiede la mia amica, se lavori a tempo pieno e, come lei, non hai nonni a disposizione e già ti barcameni, con grande fatica, con l’aiuto di una baby sitter per coprire la seconda parte del pomeriggio? “In pratica, devi smettere di lavorare?”, mi ha incalzato. Avrei voluto dirle di no, ma la realtà è che quella è la scelta che fanno molte mamme: part time (in molti casi obbligati perché diversamente non si può fare) o dimissioni: ne abbiamo parlato molte volte nei numeri scorsi di questa newsletter.
Un’idea di mondo
Il punto è sempre lo stesso e torna fuori ogni volta che proviamo a guardare all’assetto della nostra società con gli occhi dei bambini e delle famiglie:
viviamo in un contesto nel quale l’accompagnamento alla crescita è scaricato unicamente sulle spalle dei genitori - delle madri, in modo particolare -, che pretende da noi giornate lavorative infinite - tendenzialmente sotto pagate - difficilmente conciliabili con gli impegni di cura degli altri e di sé, che non contempla i bambini nello spazio pubblico e nei tempi della vita degli adulti. Non è solo una questione di servizi che mancano (il tempo prolungato o il doposcuola, in questo caso): è, a monte, una questione culturale, che attiene all’idea di mondo nel quale vogliamo vivere.
Che sia così lo capiamo se spostiamo il punto di vista dall’assetto organizzativo e logistico (tradotto: dove li metto i bambini al pomeriggio mentre io sono al lavoro ancora per due-tre-quattro ore) a quello dei diritti dei più piccoli. Come sottolinea un report di Save The Children sulle mense scolastiche pubblicato lo scorso anno, in Italia poco meno di un bambino su due ha accesso a questo servizio (in Sicilia la quota scenda anche fino al 6%), ma per molti quello a scuola è l’unico pasto completo del giorno: se salta perché non c’è il tempo prolungato, quei bambini seguono un’alimentazione meno ricca e meno sana. E poi, c’è la disparità educativa: tra i bambini che hanno accesso a un tempo pieno e a doposcuola di qualità e quelli che non ce l’hanno - che in molti casi sono gli stessi che possono contare su meno stimoli, esperienze e possibilità di conoscenze e relazioni sociali anche fuori da scuola. Una differenza che - dicono i numeri - segue tendenzialmente gli assi Nord/Sud, centro/periferia, città/aree interne). Dovrebbe essere la medesima scuola pubblica a offrire medesime opportunità a tutti i bambini. E invece il divario si allarga, e lo fa soprattutto lì dove già è marcato.
Otto ore sono troppe?
Poi, possiamo discutere del fatto che per i bambini sia più o meno adatto e utile stare a scuola 8 ore (e nel mondo della scuola se ne discute molto, tra favorevoli e contrari al tempo prolungato). A me viene da dire che tutte quelle ore seduti, davanti a una lezione frontale via l’altra, sono troppe e che i bambini hanno bisogno di muoversi, di giocare, di imparare facendo cose (non lo dico io, in realtà, lo sento dire da anni da qualunque pedagogista abbia intervistato). Ma se l’alternativa non c’è, allora non è meglio la scuola per 8 ore, possibilmente in modalità non statica, ma con la possibilità di sfruttare l’ampio monte ore per attività pratiche, laboratori, interazioni sociali? Magari in collaborazione con le realtà del territorio? Un esempio: la scuola che frequenta mia figlia ha attivato un bellissimo progetto di “musica a km 0”: in collaborazione con il Comune e l’associazione bandistica della città ha proposto un corso per imparare a suonare uno strumento agli alunni di terza, quarta e quinta, un pomeriggio a settimana, subito dopo scuola, fino alle 18.15. Dentro la scuola e totalmente gratuito. Bello, no?
Dimmi come tagli…
Intanto, giovedì scorso gli insegnanti hanno scioperato contro la Legge di Bilancio, che non prevede risorse aggiuntive per i rinnovi contrattuali 2022-2024, ma una riduzione drastica della dotazione organica di 5660 docenti e 2.174 unità di personale Ata, hanno spiegato i sindacati. Sui social mi è venuto da commentare: “Dimmi come tagli e ti dirò chi sei”: è, appunto, una questione dell’idea di mondo che vogliamo.
Ma quindi, come si fa?
Per chiudere, come ho risposto alla mia amica? Batti a tappeto tutte le scuole primarie della zona, cercane una che abbia il tempo pieno, il doposcuola e che magari faccia da sede a qualche associazione sportiva in modo da poter far svolgere un po’ di sport al bambino direttamente lì, dopo la scuola. E che magari abbia anche un’offerta didattica di valore. Se la trovi, hai fatto bingo. Ti resta solamente da pregare che ti prenda anche se non è di competenza territoriale. Insomma, affidati alla fortuna.
Poi, ci sarebbe da scendere tutti in piazza.
Cose belle da leggere, vedere, ascoltare
Nel mondo della scuola, però, accadono anche cose molto belle - ed è da queste che dovremmo ripartire: per i suggerimenti, allora, rimaniamo per questo numero proprio sul tema scuola:
l’Università di Milano-Bicocca ha lanciato la scorsa primavera un’iniziativa molto interessante: si chiama “Cinque minuti per cambiare la scuola” e punta a far conoscere e diffondere idee, anche piccole ma molto concrete, che possano innovare e cambiare, dal di dentro, il modo di fare scuola. A maggio è stato lanciato un crowdfunding con il quale sono stati raccolti 10mila euro per lo sviluppo del progetto; ora, fino a metà novembre, è aperta la call for ideas che permette a chiunque di segnalare micro-idee di creatività organizzativa già attivate che hanno generato cambiamenti stabili nel modo di vivere la scuola contribuendo al benessere dell’intera comunità scolastica (si può fare compilando questo form). Le 50 migliori verranno poi presentate e diffuse la prossima primavera. La responsabile del progetto, la pedagogista Anna Granata, lo ha presentato qualche settimana fa nel programma tv Geo: una bella intervista che spiega qual è il potenziale di innovazione interno che hanno le singole scuole e racconta alcune idee innovative già in atto nelle scuole italiane, pronte per essere copiate;
“L’ora alternativa” è la miniserie prodotta da WeWorld Onlus che “esplora la scuola come una miniatura della società”, racconta il regista Ali Ben Mohamed. È la storia di un gruppo di studenti di seconda generazione che frequentano la stessa scuola, accomunati dal fatto di non partecipare all’ora di religione. Ognuno di loro trascorre “l’ora alternativa” liberamente: c’è chi studia in biblioteca, chi sta al computer, chi al bar, chi fuma in bagno e chi si diverte a creare disturbo. Fino a quando la preside non decide di coinvolgerli in un progetto di musica. “Si parla di marginalizzazione, auto-isolamento, del conflitto di classe, del senso di perdita e abbandono, ma - spiegano da WeWorld - anche di amicizia e coraggio, mostrando attraverso diversi punti di vista le difficoltà e le emozioni che si provano nel vivere in bilico tra culture in collisione tra loro: quella dei genitori e quella della società in cui ci si trova, quella del mondo adulto e istituzionalizzato e quella che le nuove generazioni vogliono contribuire a realizzare”. Al centro, la scuola e il ruolo che può svolgere in questo processo;
Nel podcast “Fili tesi” di Chora Media si racconta, tra le altre, la storia di Iris Tarter, preside dell’istituto professionale “Frisi”, nella periferia Nord di Milano, che alla fine degli anni Settanta rese la sua scuola accessibile alle persone con disabilità, sia dal punto di vista dell’accessibilità fisica che della didattica: una rivoluzione, per quei tempi, arrivata ben prima degli insegnanti di sostegno e della legge 104: a proposito della buona scuola che sa innovarsi da sola, dall’interno, grazie agli insegnanti, agli studenti, ai genitori, alle persone che la scuola la fanno e la vivono.
Un libro
Infine, come sempre, il suggerimento di un libro, questa volta per bambini e, già che ci siamo, proprio dedicato alla scuola: è “Che cos’è la scuola?”, di Luca Tortolini e Marco Somà, edito da Terre di Mezzo. Un bellissimo albo illustrato che, pagina dopo pagina, prova a rispondere alla domanda che pone il titolo. Ecco, allora, la scuola che è luogo di diversità e amicizia, spazio chiuso e aperto insieme, di scambi di gomme e abbracci. Mondo di bambini e insegnanti, anche loro tutti diversi, alcuni sorridenti alcuni arrabbiati, che insegnano la bellezza, la meraviglia e l’immaginazione, ma anche l’errore perché più si sbaglia e più si impara. La scuola, che sembra sempre uguale, e invece è ogni giorno diversa. La scuola, che tutti dovremmo amare e proteggere un pochino di più.
Bene, è giunta l’ora dei saluti: novembre si prospetta più tranquillo di ottobre, cercherò di tenere il passo, anche qui: noi ci leggiamo tra due settimane, che ne dici? 🧡
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“Ci vuole un villaggio” è la newsletter che prende spunto da ciò di cui parlano i genitori la mattina fuori da scuola per provare ad allargare lo sguardo. Perché ho scelto questo titolo e il senso di questa newsletter, lo trovi spiegato meglio qui, nel primo numero.
Io sono Silvia De Bernardin, giornalista freelance e mamma. Da anni scrivo di genitorialità, ma anche di lavoro, salute, alimentazione, sostenibilità e turismo, tutte cose che hanno a che fare l’una con l’altra molto più di quanto sembri. Qui ci troverai anche un po’ di questi temi. Mi trovi anche su Instagram e Linkedin e sulle pagine digitali, cartacee e social di Giovani Genitori, Vegolosi MAG e Job in Tourism.
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