#28 Ci vuole un villaggio I Una chiacchierata intorno alla maternità
Con Ilaria Maria Dondi abbiamo parlato del suo libro "Libere di scegliere se e come avere figli": il racconto, da ascoltare, di quello che ci siamo dette
Ciao!
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Questo è un numero particolare, corto da leggere, denso da ascoltare.
Come avevo anticipato nell’ultima newsletter, lo scorso 15 marzo ho avuto il grande piacere di presentare il libro Libere di scegliere se e come avere figli insieme alla sua autrice, la giornalista Ilaria Maria Dondi, alla biblioteca Tilane di Paderno Dugnano, che ci ha ospitate insieme a un gruppo numeroso e attentissimo di ascoltatrici (gli uomini si contavano sulle dita di una mano, e uno dei quattro era mio padre, quindi non vale).
Poco prima di iniziare la nostra chiacchierata, tutta a braccio, con Ilaria ci siamo dette: registriamo? Ho messo sul tavolino che c’era tra di noi il cellulare, ho acceso il registratore e tutto quello che è venuto fuori puoi ascoltarlo nel file che trovi in apertura. So che un’ora e mezza è lunga da ascoltare, soprattutto da dentro una mail e non da una piattaforma podcast, ma estrapolare una versione scritta di tutto quello che è venuto fuori - anche grazie al coinvolgimento silenzioso, ma emotivamente partecipe di chi c’era - avrebbe voluto dire tagliare, scegliere, selezionare. E, invece, questa volta credo che valga la pena non perdersi nulla.
Con Ilaria abbiamo parlato di come è nata la spinta a indagare così a fondo le scelte e non scelte della maternità e di cosa ha significato per lei maneggiare storie che raccontano una realtà tanto diversa dalla narrazione, spesso univoca e dominante, della maternità stessa. Di stereotipi da decostruire, di numeri, leggi e storie, di filosofe e scrittrici, di madri streghe, di padri e di lavoro, di passato e di futuro.
Sotto traccia, sempre, un punto, che mi sembra quello centrale di tutto il lavoro prezioso che contiene questo libro e sul quale mi sono fermata a pensare più volte nei giorni scorsi, sollecitata anche da una confronto con una cara amica sull’ennesima polemica social che vedeva contrapposte mamme e non mamme: la necessità di sospendere il giudizio, di ascoltare le storie delle altre, di rispecchiarsi o meno nelle loro scelte di maternità o non maternità senza, però, mai metterne in discussione la validità e la dignità. Quello è, piuttosto, il gioco che fa il patriarcato, che da sempre usa la maternità per dividerci, ognuna dentro sé stessa e tra di noi. Un gioco che possiamo smettere di giocare subito. Ilaria l’ha detto benissimo a un certo punto, e io mi sono anche commossa ascoltando queste parole:
“Esiste una qualità umana poco diffusa, l’empatia, che se non possiedi, certamente non acquisti passando per il blocco parto. È chiaro che nella nostra vita non possiamo esperire tutte le possibilità dell’esistenza, ma credo molto nella possibilità di potersi mettere in ascolto dell’altra persona e nell’affidarsi e affidare all’altra le nostre emozioni e, al tempo stesso, di farci da cassa di risonanza”.
E, ancora:
“Tutte le volte che tu racconti la tua storia si solleva un coro di voci. È quello il personale che diventa politico del femminismo. Non è l’individualismo del raccontare la propria storia perché interessante, ma il raccontarla per mettere in atto una staffetta, un “tana libera per tutte e tutti!”, che liberi le voci. Io mi auguro - e questo è il senso di Libere - che noi donne si impari a essere la donna che libera le altre donne, che ciascuna possa usare la propria voce non per dire: “Sì, ma…”, quanto piuttosto: “Io ti ascolto e aggiungo la mia storia, che magari è opposta alla tua, ma racconta un altro pezzo della stessa discriminazione”. Che poi è lo spirito del femminismo: liberare altre voci”.
Un (altro) libro
Visto che il caso esiste, e spesso ha una sua logica ferrea, è successo che la sera prima di questo incontro mi capitasse tra le mani La figlia unica, della scrittrice messicana Guadalupe Nettel. Un romanzo che ha al centro proprio il tema della maternità e che volevo leggere da quando, anni fa, ne avevo sentito parlare per la prima volta da Michela Murgia. Forse, anche per la concomitanza delle due cose, dico che si tratta di un romanzo che, in qualche modo, trasfigura sul piano narrativo molte delle questioni di cui abbiamo parlato con Ilaria. Nelle storie intrecciate delle donne protagoniste del racconto ci sono “le” maternità, nelle loro esperienze più varie, c’è la maternità diversa da quella che ti aspetti e che ti sconvolge la vita, ci sono le scelte intorno alla maternità che aprono mari di distanza tra le donne oppure sono in grado di riunirli. C’è la maternità biologica, quella sociale e, persino, quella animale. È un bel romanzo, scritto in apparenza in maniera molto semplice - e questo fa sì che le pagine scorrano via quasi senza accorgersene - che ti fa sentire vicinissima ai suoi personaggi e nel quale, sì, l’empatia decisamente funziona.
Come promesso, un numero cortissimo da leggere: ti lascio all’ascolto e, se ti va poi di parlarne, io sono qui: scrivimi, ti leggo sempre con grande piacere 🧡
Ci sentiamo tra due settimane!
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“Ci vuole un villaggio” è la newsletter che prende spunto da ciò di cui parlano i genitori la mattina fuori da scuola per provare ad allargare lo sguardo. Perché ho scelto questo titolo e il senso di questa newsletter, lo trovi spiegato meglio qui, nel primo numero.
Io sono Silvia De Bernardin, giornalista freelance e mamma. Da anni scrivo di genitorialità, ma anche di lavoro, salute, alimentazione, sostenibilità e turismo, tutte cose che hanno a che fare l’una con l’altra molto più di quanto sembri. Qui ci troverai anche un po’ di questi temi. Mi trovi anche su Instagram e Linkedin e sulle pagine digitali, cartacee e social di Giovani Genitori, Vegolosi MAG e Job in Tourism.