#3 Ci vuole un villaggio I Abbiamo un problema di narrazione
Una notizia e dieci libri per descrivere, raccontare, immaginare in modo diverso (non solo) la genitorialità
Ciao!
Sono passate altre due settimane, Natale si avvicina e rieccoci qui. Come promesso, questa newsletter sarà dedicata in gran parte ai libri. Prima però una notizia, che parla di lavoro e genitorialità. E che spiega perché proprio dei libri abbiano estremamente bisogno per costruire nuove narrazioni su chi siamo come genitori, cittadini, lavoratori, persone.
Partiamo!
Una notizia. Ai primi di novembre il Governo ha presentato ufficialmente il “Codice di autodisciplina di imprese responsabili a favore della maternità”, un documento che impegna le aziende - firmatarie in via volontaria - nella messa a punto di misure a sostegno delle lavoratrici madri, appunto. Un documento sottoscritto, al momento, da un centinaio di aziende che in questo modo dichiarano di voler attuare politiche per favorire la continuità di carriera delle madri, per esempio, ma anche iniziative di prevenzione e cura dei bisogni di salute, di adattamento di tempi e modi di lavoro per la conciliazione lavoro-famiglia, di sostegno alle spese per la cura e l’educazione dei figli. Per creare, è stato detto, “un’impresa a misura di mamma”.
Un’iniziativa meritoria, se si parte dal presupposto che, in un contesto di scarso sostegno pubblico alla genitorialità, “tutto fa brodo”. Eppure. Eppure, a monte, a guardare bene, c’è una sorta di “errore”, che rischia di vanificare anche le eventuali buone intenzioni: è la malintesa idea che sostenere la genitorialità rispetto al lavoro voglia dire ancora e innanzitutto “aiutare” le madri. Ben vengano gli aiuti, eh, ma la domanda è: e i padri?
L’approccio del Governo. D’altra parte, è questo l’approccio dell’attuale Governo alle politiche che vengono definite a sostegno della “natalità” più che della genitorialità. Non è un caso che la premier Giorgia Meloni, nel commentare l’iniziativa, abbia detto: “Noi vogliamo che l’Italia cresca, che cresca la libertà dei suoi cittadini, il benessere dei suoi lavoratori, il suo tessuto produttivo” e - ha aggiunto - “un’impresa a misura di mamma e di bambino può essere una chiave di volta per affrontare tutti insieme questa sfida”. Come non è un caso che nella manovra di bilancio sia stata introdotta la decontribuzione per le lavoratrici madri di almeno due figli (non è ancora definitivo in che misura e perché le madri di un figlio solo siano state escluse): “Una donna che mette al mondo due figli in una realtà nella quale noi abbiamo bisogno di invertire i dati sulla demografia ha già offerto un importante contributo alla società”, ha commentato sempre la presidente del consiglio. La mamma, sempre e ancora la mamma.
In azienda. Ma non è una questione solamente politica. Succede spesso anche in ambito privato che le aziende - animate di buoni propositi - mettano a punto pacchetti welfare “per mamme”. Ricordo una campagna pubblicitaria di qualche anno fa di una banca che proponeva condizioni particolari proprio per sostenere le mamme lavoratrici. Nei giorni scorsi leggevo dell’iniziativa di uno dei più importanti marchi della grande distribuzione che, varando nuove misure a sostegno dei genitori, offre alle lavoratrici in gravidanza la possibilità di lavorare in smart working al 100% all’ottavo e al nono mese di gestazione (per le posizioni per le quali è previsto) per poter poi usufruire interamente dei cinque mesi di maternità obbligatoria dopo la nascita del bambino. Ma davvero, mi chiedo, questo è sostegno alla genitorialità? Legittimare l'idea che si possa lavorare "fino all'ultimo" per poter godere interamente del congedo dopo la nascita non rischia, invece, di comportare solamente un’immane fatica fisica, psicologia ed emotiva per le mamme, senza che nulla cambi dopo che il bambino è nato? Ovvero lì dove davvero bisognerebbe intervenire sostenendo il ruolo, l’impegno e la funzione genitoriale di entrambi i genitori, ad esempio, con i congedi di paternità equiparati a quelli di maternità e ampliando il più possibile sul territorio l’accesso ai nidi?
Un problema di narrazione. Non è una questione di “lana caprina” anche perché , dietro questa visione (anche un po’ paternalista, diciamolo) dell’aiuto alle mamme c’è pure l’idea che con la maternità si “perdano dei pezzi”, professionalmente parlando. Lo ha spiegato molto bene l’esperta Riccarda Zezza commentando su “Il Sole 24 ore” proprio l’iniziativa del Codice di autodisciplina proposto dal Governo: “Ottima l'intenzione - ha scritto - un po' debole la storia che ne emerge, e che sembra essere ancora (!) quella dell’avventura solitaria e un po’ sfortunata di donne che si sacrificano per i propri figli. E che per tale sacrificio devono essere ‘risarcite’”.
Il punto, è anche la mia impressione, è che le misure a sostegno della genitorialità collegate al lavoro continuano a essere viziate sia da un errore di prospettiva - quello appunto secondo il quale sono le mamme a dover essere “aiutate” perché fare e crescere i figli è principalmente cosa loro - che di narrazione, ovvero la maternità come un evento della vita che toglie professionalità invece che arricchire la persona e, quindi, anche la sua capacità professionale.
Abbiamo un problema. Ma questo, di una narrazione stereotipata e scollata molto spesso da ciò che davvero comporta essere genitori oggi sia sul piano pratico che emotivo - scollamento che produce poi misure di scarso respiro - è un problema che investe la genitorialità su tutti i fronti.
E ora parliamo di libri
Questo ci porta dritti dritti al punto forte di questa newsletter. Come si cambia la narrazione? Trovando parole nuove per descrivere, raccontare, immaginare. E i libri sono ancora lo strumento migliore per farlo. Come promesso, ecco allora una raccolta di alcuni di quelli che ho letto io quest’anno, che ho amato, che hanno lasciato in me un segno, che hanno punteggiato le mie giornate (e nottate). Non tutti hanno direttamente a che fare con la genitorialità - ma, si sa, a volte i libri sanno dirci cose che neanche loro pensano di dirci. Tutti, però, hanno il merito di regalare sulle cose un punto di vista inedito e non scontato.
“Esposte al vento. Camminare nella natura per ritrovare se stesse”, di Annabel Abbs, Mondandori
È stato questo, senza dubbio, uno dei miei libri preferiti dell’anno. Il titolo - quasi da manuale di self-help quale non è affatto - non rende merito all’incredibile lavoro di ricerca e alla scrittura della giornalista inglese Annabel Abbs che, ritrovandosi all’improvviso col “nido vuoto” una volta cresciuti i figli, si mette (letteralmente) in cammino sulle orme di alcune grandi camminatrici vissute a cavallo tra Ottocento e Novecento - pioniere dell’escursionismo dimenticate - per ricostruirne le storie e, insieme, ritrovare il filo della propria. Donne che, proprio nell’andare - soprattutto in natura - hanno trovato la dimensione di sé. Il camminare, dunque, come esercizio per imparare a pensare autonomamente, per mettere alla prova i propri corpi, come affermazione di indipendenza ed espressione del divenire. E - non potrebbe essere diversamente - anche come occasione per ridefinire il proprio rapporto con la maternità. L’ho amato moltissimo.
“Ho scritto questo libro invece di divorziare”, di Annalisa Monfreda, Feltrinelli
Ecco, invece, uno dei libri letti ultimamente che più ho sottolineato. L’ex direttrice di “Donna Moderna”, oggi imprenditrice della comunicazione con il progetto “Rame” dedicato alla consapevolezza finanziaria, ricostruisce qui le origini culturali, sociologiche ed economiche del cosiddetto “carico mentale”. Concetto sdoganato qualche anno fa dalla fumettista francese Emma con “Bastava chiedere. 10 storie di femminismo quotidiano”, il carico mentale è l’elefante (enorme) nella stanza quando si parla di parità in casa e nella gestione dei carichi di cura. Ma non solo. Qui Monfreda, partendo dalla propria esperienza personale, mette perfettamente a fuoco e in prospettiva storica e sociale la questione. E, in controluce, ci parla delle vite che abbiamo e di quelle che vorremmo, di tempo, desiderio, creatività, lavoro, progettualità, coppia, genitorialità. Da leggere (e, appunto, sottolineare) se, ogni volta che parliamo di coppia, femminismo, genitorialità, parità di genere sembra manchi un tassello del discorso: qui ecco che il puzzle si ricompone.
“Il guardiano della collina dei ciliegi”, di Franco Faggiani, Fazi Editore
I romanzi di Franco Faggiani sono stati la scoperta di quest’anno. Questo è stato il primo che ho letto, poi sono seguiti quasi tutti gli altri e sempre ho trovato una “coccola” in queste storie così limpide fatte di montagne, natura e rapporti umani. Quella del “guardiano”, poi, è davvero incredibile: è la vicenda, in parte romanzata, del maratoneta giapponese Shizo Kanakuri che nel 1912 partecipò alle Olimpiadi di Stoccolma e finì, per ragioni sconosciute a lui stesso, per perdere l’appuntamento con un destino già scritto, tanto che arriverà a completare la gara solamente 54 anni dopo. In mezzo, un’intera vita trascorsa a far da guardiano a una collina di ciliegi. A ritrovare le fila di un’esistenza che, solo per un caso, non aveva seguito il percorso preordinato. A cercare un modo per fare pace con sé stessi - e, verso la fine, anche con il proprio ruolo di padre. Leggendo, mentre la vita di Shizo corre via, si ha spesso la sensazione di essere al suo fianco su quella collina, ad ammirare i ciliegi, in silenzio. Bellissimo, soprattutto se, come me, siete affascinati dalle sliding doors della vita.
“La donna gelata”, di Annie Ernaux, L’Orma editore
Questo è il romanzo con il quale ho inaugurato il 2023. Dopo le prime tre pagine - io che di Ernaux, colpevolmente, non avevo ancora mai letto niente - mi ricordo di aver pensato: ok, ecco come scrive una scrittrice premio Nobel della Letteratura. Per indagare le questioni femministe in chiave letteraria quella di Ernaux rimane, attraverso tutti i suoi libri, una voce imprescindibile. “La donna gelata” è una sorta di “romanzo di formazione” di una donna vissuta in pieno Novecento (nella quale, in molti tratti, non è difficile riconoscersi anche oggi) che le scandaglia in profondità una per una, dall’infanzia alla maternità: un classico imperdibile.
“La bella confusione”, di Francesco Piccolo, Einaudi
Chi mi conosce lo sa: per me le pagine di Piccolo, la sua ironia, il suo sguardo lucido, disincantato, scanzonato e, insieme, amarissimo sono un posto nel quale mi sento sempre a casa e ogni volta mi sembra di capire qualcosa in più di noi strani esseri umani e sociali (il suo “Il desiderio di essere come tutti” è uno dei miei libri del cuore degli ultimi anni). Ho aspettato qualche mese prima di leggere questo suo ultimo, a metà tra saggio e narrativa, che ricostruisce in parallelo e per contrasto le vicende umane e professionali di due acerrimi nemici, Federico Fellini e Luchino Visconti, a partire dai rispettivi capolavori “Otto e mezzo” e “Il Gattopardo”. Temevo parlasse di qualcosa - la critica cinematografica - un po’ lontana in questo momento dai miei interessi. E, invece… Se cercate un racconto godibilissimo di cosa siano la creatività, il “genio”, la scrittura, i mondi interiori che diventano immaginari collettivi e di uno scorcio d’Italia mitico e ormai svanito, l’avete trovato.
“Cambiare l’acqua ai fiori”, di Valérie Perrin, Edizioni e/o
Lo ammetto: quando qualche anno fa il primo romanzo di Valérie Perrin è arrivato in Italia diventando, qui come in molti Paesi, un best seller da classifica, l’ho snobbato. Temevo fosse un libro di quelli che lasciano il tempo che trovano. E, invece, poi l’ho letto, mi è piaciuto, mi ha commosso - e fatto saltare pagine troppo dolorose a leggersi se si è genitori di una bambina di 7 anni. Soprattutto, ha segnato l’inizio di una cosa bellissima che sto facendo con due amiche da qualche mese a questa parte: partecipare al book club della nostra biblioteca. È un’esperienza che si sta dimostrano arricchente e interessante perché ti porta fisicamente lì, dove le pagine degli scrittori incontrano le persone, i lettori in carne, ossa e cuore, ciascuno con il proprio mondo appresso. Lo fa sul territorio della comunità nella quale vivi e ti fa scoprire libri che altrimenti, forse, non leggeresti mai. Una meraviglia. Se fanno un book club nella vostra biblioteca, mettetelo tra le cose da fare nell’anno nuovo!
“Una madre lo sa. Tutte le ombre dell’amore perfetto”, di Concita De Gregorio, Einuadi
Questo di Concita De Gregorio non è un libro che ho letto quest’anno, a dire il vero, ma proprio a Natale mi è capitato in più occasioni di regalarlo ad amiche mamme. Sono venti storie di maternità molto diverse tra loro, alcune più note, altre molto private, per raccontare le quali De Gregorio parte da un’osservazione: “C’è la vita com’è e poi c’è la sua rappresentazione corale, pubblica e condivisa: non coincidono quasi mai, com’è possibile?”. Eccolo lo scollamento narrativo all’origine di quel senso di inadeguatezza profondo che tutte le madri, almeno una volta nella vita - se non tutti i giorni - hanno provato, sentendosi inadeguate, non all’altezza (di che cosa, poi?), imperfette quando il loro modo di essere non collima con la rappresentazione socialmente condivisa di cosa dovrebbe essere o fare una madre. Una lettura utile a mettere a fuoco una verità che spesso ci dimentichiamo e che, invece, dovremmo avere scolpita ben chiara nella testa: per essere madre ci sono “tanti modi così diversi e senza colpa, alla fine: i modi che ciascuno trova”.
“Genitori strada facendo”, di Pediatra Carla, Vallardi
Ancora a proposito di narrazioni su genitorialità, maternità, famiglia, da decostruire e ricostruire - e, ancora una volta, allontanare da presunti modelli buoni indistintamente per tutti (spoiler: non funzionano per nessuno, quelli) - ecco un altro libro interessante scritto dalla pediatra italiana più famosa sui social, Carla Tomasini, che qui mette insieme storie, emozioni, vissuti raccolti nei molti anni di lavoro in ambulatorio. Il titolo riassume perfettamente il messaggio, che punta a liberarci da quell’ansia da prestazione collettiva che ormai - complici molto anche social, influencer e parent coach vari - attanaglia anche l’esperienza genitoriale e ci rende insicuri perché continuamente appesi alla domanda: “Sono un bravo genitore?”. Invece, genitori si diventa strada facendo, appunto. E, come ogni strada, anche quella della genitorialità è fatta per ciascuno di inciampi, rincorse, passi ora lenti, ora più veloci. Una lettura per riconciliarci, riconoscerci e imparare a godercela un po’ di più, questa strada (con Carla Tomasini ne abbiamo parlato qualche mese fa anche in una diretta Instagram che puoi rivedere qui).
“Principesse. Eroine del passato, femministe di oggi”, di Giusi Marchetta, add editore
Il vestito lungo, i capelli dorati, il principe-eroe che la salva da una disavventura della quale è vittima incolpevole. Il matrimonio e la promessa di una felicità che durerà per sempre. E poi, che succede? Qual è il destino delle principesse dopo l’happy-end? E perché rivedere oggi le storie delle principesse con le quali siamo cresciute noi donne adulte (e mamme) di oggi ci mette così a disagio? Questo saggio di Giusi Marchetta è lì che mi attende per intero. Per il momento, l’ho solamente sfogliato e letto per stralci, ma mi sento già di poterlo consigliare: è un viaggio nel mondo dei racconti e dei personaggi che hanno costruito l’immaginario dell’infanzia di noi genitori figli degli anni Ottanta o giù di lì. Uno strumento utile per guardarlo con la giusta distanza, quell’immaginario, smontarlo un pezzo alla volta e provare a immaginare “principesse” diverse, per i nostri figli (e anche per noi).
“Felicità”, di Chiara Bisconti, Franco Angeli
Chiudo con questo libro che mi hanno mandato pochi giorni fa e ho solamente avuto modo di sfogliare, per ora, ma conosco Chiara Bisconti e so di andare sul sicuro. Pioniera del lavoro agile in Italia quando lo smart working era molto al di là da venire nel nostro Paese, qui Bisconti racconta una parola - e le sue declinazioni - che non siamo abituati ad associare al lavoro: felicità. E, invece, lo dicevamo anche all’inizio di questa newsletter, abbiamo profondamente bisogno di una revisione delle politiche del lavoro, anche da genitori. Farlo puntando alla felicità - intesa non come valore astratto e personale, ma come cosa molto tangibile, concreta e sistemica - mi sembra un’ottima via da provare a percorrere. Con Chiara Bisconti avevo già avuto modo di parlarne in un’intervista un annetto fa a proposito del suo libro precedente, la trovate qui: “Quando smart è sinonimo di felicità”.
📚 E tu, che libri hai letto quest’anno? Cosa ti è piaciuto? Cosa consiglieresti? Se ti va, scrivimelo e poi promesso che passo l’informazione: consigliarci libri è sempre una cosa bellissima da fare 🤩
🧑🏻🎄 Infine, un’ultimissima domanda. Nella prossima newsletter mi piacerebbe scrivere una letterina a Babbo Natale: mi aiuti? Cosa vorresti trovare sotto l’albero quest’anno da genitore (ma anche solo tu, in quanto te stesso e basta)? Scrivimelo qui nei commenti cliccando sul bottone verde. Raccoglierò tutti i “desideri” e sono sicura che verrà fuori una letterina collettiva molto interessante 😉
🧡 Ci sentiamo tra due settimane!
Cara Silvia,
se dovessi scrivere una lettera a Babbo Natale per me e per le mie figlie chiederei senz'altro di spargere lungo il suo cammino con la sua slitta del RISPETTO, rispetto verso le persone, le cose e i sentimenti, chiunque si sente in diritto di prevaricare e di giudicare pensando di essere l'unico ad avere la Verità, pensiamo a tutti i casi di femminicidio (ed io essendo mamma di ben 2 femmine ho una rabbia e paura dentro di me), ai casi di intolleranza verso tutte le persone che sono costrette a fuggire dai loro paesi di origine, ai casi di intolleranza verso il mondo LGBT e sicuramente ne avrò dimenticate centinaia di esempi dove il rispetto viene ed è venuto a mancare...
Un'altra cosa che piacerebbe chiedere come mamma è la possibilità di far realizzare i sogni e l'autonomia dei nostri figli sia in ambito lavorativo che nella loro vita privata.
Beh di desideri da chiedere al povero Babbo Natale ce ne sarebbero tanti e tanti altri....
ciao Silvia, scrivo qualche riga per rispondere al tuo invito di questa newsletter. Mi vengono in mente tante cose, ma una su tutte, per tutti. Chiederei a Babbo Natale più Luce nel senso di una maggiore consapevolezza, capacità di accogliere se stessi e gli altri, Umanità con la U maiuscola. In un mondo complesso come quello attuale e con tante sfide quotidiane e future che ci aspettano, credo che l'apertura reciproca, la capacità di accogliersi e accogliere e di restare Umani sia fondamentale. Grazie per lo stimolo :-)