#32 Ci vuole un villaggio... fatto di case e di radici
Costruire ciò a cui teniamo è possibile o, almeno, è possibile provarci
Ciao!
Io sono Silvia De Bernardin e questa è “Ci vuole un villaggio”, la newsletter che racconta il cantiere del nuovo villaggio, quello che ancora oggi serve per crescere bambine e bambini. Qui parliamo di genitorialità, ma anche di comunità, reti sociali, lavoro, servizi, welfare, territorio, cultura, narrazioni. Puoi iscriverti qui:
Rieccoci! Questa newsletter ha saltato un po’ di giri nelle ultime settimane: tante scadenze, le ultime settimane di scuola, un po’ di fatica accumulata. Insomma, maggio. Però, non tutti i rinvii vengono per nuocere: questo, nello specifico, ha avuto due conseguenze: sono un po’ personali, ma te le racconto lo stesso perché credo che abbiano a che fare con sensazioni e pensieri abbastanza diffusi. In chiusura, qualche consiglio di lettura e di ascolto: partiamo!
Un nuovo logo
Innanzitutto questo ritardo ha concesso il tempo che serviva per concretizzare una piccola grande novità, che forse hai già notato: il villaggio ha finalmente un logo! Era da tempo che desideravo che la newsletter acquistasse una veste grafica che potesse rappresentarla esprimendo l’idea che la anima. La mano e la creatività magica di
hanno dato forma e colore e sostanza a questo desiderio.Ci tengo a raccontarti brevemente come sono nate le grafiche della newsletter perché il lavoro fatto con Alice è stato prezioso. Lei è una bravissima digital strategist e illustratrice (qui puoi vedere di cosa si occupa). Quando ci siamo sentite per mettere a fuoco insieme l’idea intorno alla quale costruire il logo, mi ha fatto delle domande che mi hanno spinta a riflettere sul perché il tema del “villaggio” fosse diventato così importante per me.
“L’idea del villaggio come punto di osservazione delle questioni e del racconto mi piace molto anche a livello di ‘metodo’ - le scrivevo qualche tempo fa - perché mi dà la possibilità di allargare lo sguardo, di creare connessioni tra temi, storie, esperienze – anche partendo dalla mia esperienza professionale che spazia tra argomenti diversi – di provare a dare una lettura delle questioni meno per compartimenti stagni, più stratificata e interconnessa. L’assunto di base è che la genitorialità non sia qualcosa di personale, ma abbia piuttosto un risvolto sociale se non, addirittura, politico. Un esempio: oggi non si può parlare di genitorialità senza parlare del modo in cui lavoriamo o di come sono costruite le nostre città”.
Da qui il gancio è stato immediato: “Se pensi alla newsletter, che immagini ti si palesano davanti?”, mi ha chiesto ancora Alice.
“Ci ho pensato un po’ – le ho risposto – e, chiudendo gli occhi, l’immagine che mi è venuta in mente è quella di una città. Benché ultimamente desideri fuggire da Milano, la città è lo spazio della comunità che al momento abito, quello nel quale sono cresciuta e nel quale sto crescendo mia figlia. In qualche modo, la città è da sempre il mio villaggio. Forse il mio desiderio di fuga nasce proprio dal fatto di non vederla e viverla (quanto meno non del tutto) a misura della vita che vorrei per me, per mia figlia, per le persone che ho intorno e che sento tutte molto affaticate”.
Tanto è bastato ad Alice per riuscire a dare forma a questa città-villaggio, nei colori che più amo e di cui anche ciò che mi circonda spesso si tinge. Un’immagine nella quale le case sono vicine, formano un cerchio che esprime vicinanza, da cui si allungano radici che ci ancorano alla terra dandoci la sicurezza che serve poi anche per andare altrove. Quando l’ho visto disegnato, l’ho riconosciuto: era lui il mio villaggio.
Il cuore più leggero
Non aver scritto per qualche tempo la newsletter, però, ha sortito anche un altro effetto. Come accennavo, le ultime sono state settimane impegnative. Così, non appena è finita la scuola (e tutti gli impegni connessi), ho preso figlia e nonni e sono salita in montagna. Subito la temperatura è scesa, l’orizzonte si è aperto, il tempo ha iniziato a rallentare. E, come spesso accade quando mi fermo, ho riacquistato lucidità dopo un lungo periodo di apnea. Un po’ alla volta, da lassù, si è affacciato un pensiero: non è vero che non ne vale la pena.
Tra l’inverno e la primavera mi sono chiesta spesso che senso avesse tutto il mio correre quotidiano se finivo poi per ritrovarmi tra le mani solamente una grande stanchezza. A guardare bene, però, mi accorgo ora che non c’è stata solamente quella e i tanti mal di testa che pure mi ha procurato. Per lavoro ho fatto cose nuove, costruite con perseveranza e provando a fare rete, che mi hanno regalato grande entusiasmo. Ho osservato, con tenerezza e già un pizzico di nostalgia, mia figlia diventare più grande godendomi il più possibile questo scorcio prezioso della sua infanzia. Mi sono fatta grandi risate con la mia nipotina, che è in quell’età in cui facce buffe e parole strane hanno il potere di far dimenticare tutto il resto. Ho camminato tanto e sono tornata a farlo anche zaino in spalla, in gruppo, per più di un giorno, apprezzando la grande fortuna di aver scoperto, da adulta, una nuova passione capace di riconciliarmi. Sono tornata in piazza, dopo parecchio tempo, con in mano una candela perché davanti a quello che sta succedendo a Gaza non si può davvero più stare in silenzio. Ho passato più tempo con i miei genitori avvertendo per la prima volta quello scarto nella direzione del tempo inevitabile a un certo punto della vita - perché, pensavo qualche settimana fa dando l’addio a una nonna acquisita alla quale ero molto affezionata, il tempo passa inesorabile: ciò che rimane alla fine, mi ha ricordato qualcuno, è il ricordo di quello che abbiamo condiviso con gli altri. E poi ho realizzato, con non pochi sacrifici e in condivisione con un pezzo di famiglia, un desiderio: avere un balcone affacciato sui monti che fosse un po’ casa.
Insomma, nell’affastellarsi caotico dei giorni, di cose (anche spiacevoli, eh) ne sono successe. Aver guardato indietro con un po’ di calma, però, mi ha riconciliato con un’idea nella quale ho sempre creduto molto in passato, ma in cui ultimamente avevo perso fiducia: ci vuole impegno, costanza, tempo, fatica, ma costruire ciò a cui teniamo è possibile o, almeno, è possibile provarci, anche se fuori c’è il caos e la terra pare franarci costantemente sotto i piedi.
Certamente, quello che dobbiamo fare - parlo al plurale perché sento che questo smarrimento di senso è sensazione condivisa - è imparare a dosare meglio i tempi, le forze, le aspettative, ad avere pazienza e ad accettare che ci sono limiti, spesso insuperabili, che non dipendono da noi. A non lasciare che la fatica ci annebbi la vista impedendoci di vedere cosa c’è oltre. E però continuare a progettare, a costruire, a gettare il cuore un po’ più in là, senza smettere di credere che ciò che desideriamo per noi sia realizzabile. Farlo con lo sguardo rivolto anche alle case che circondano la nostra può renderlo un po’ più facile.
Lo scrivevo ad Alice nei giorni scorsi nel ringraziarla per il bellissimo lavoro che ha fatto per questa newsletter: le cose si costruiscono, insieme, un pezzetto alla volta e il tempo che impieghiamo, anche quando pare lunghissimo, è solamente quello giusto perché esse trovino la propria strada.
Allora, io inizio l’estate così: con un nuovo logo per questa newsletter e il cuore più leggero, ringraziando Alice per il primo e la montagna per il secondo.
Cose da leggere e ascoltare
E ora, dopo aver parlato forse un po’ troppo dei fatti miei, allarghiamo lo sguardo con qualche consiglio di lettura e di ascolto:
Francesco Costa ha dedicato la puntata della scorsa settimana del suo nuovo podcast “Wilson” al tema della chiusura estiva prolungata delle scuole. Ne abbiamo parlato anche qui, ma che il tema esca dalla “bolla” dei genitori e se ne discuta finalmente anche in contesti “generalisti”, che raggiungono grandi pubblici, è un’ottima cosa: vedi mai che, a furia di parlarne, qualcosa di muove;
la scuola è finita, ma la campanella tornerà a suonare presto: in questo articolo di “Internazionale” intitolato “Tutto il tempo che rubiamo a scuola alle ragazze e ai ragazzi” Christian Raimo racconta di alcuni aspetti organizzativi che creano un paradosso: il fatto che a scuola (persino a scuola, mi verrebbe da dire) manchi il tempo per fare le cose che della scuola sono l’essenza: la spiegazione, i laboratori, la riflessione, il confronto, la lettura, l’approfondimento;
esistono le coincidenze? Può un posto chiamarti a sé ripetutamente per invitarti ad ascoltare la storia che ha da raccontare? È quello che mi sono chiesta negli ultimi due mesi quando ho iniziato a imbattermi più volte nel nome di Sassaia, piccolo paese di pietra oggi abitato solamente da tre persone, in Alta Valle Cervo, nel biellese. Dopo tanto chiamare, ci sono stata per davvero a Sassaia, attraversandola prima tra le pagine di un romanzo, poi grazie alle parole di chi ne ha fatto la sua casa, infine di persona, a piedi. Ne è uscito un pezzo in cui vita e letteratura si mescolano alle grandi questioni del nostro tempo: la gestione del territorio, gli stili di vita, la crisi climatica, la tutela della memoria collettiva. Le piccole comunità - mi sto convincendo sempre più - sono un ottimo punto di osservazione dell’oggi e un laboratorio di soluzioni per il domani. Si può leggere qui, sul sito di L’AltraMontagna;
chiudo questa newsletter qualche ora dopo aver presentato, con grande piacere, l’ultimo libro della giornalista Marta Perego “Colazione al parco con Virginia Woolf”: è un libro molto bello che parla di libri, fa scoprire scrittrici e scrittori e, soprattutto, fa venire una gran voglia di leggere. Quella con Marta è stata una chiacchierata ricca di riflessioni: abbiamo parlato del potere trasformativo della lettura, di come i romanzi ci aiutino a stare meglio, a capire di più noi stessi, a riconciliarci con la nostra storia personale e ad accogliere quelle degli altri. “Leggere è l’arte di vivere in tempi di crisi”, scrive a un certo punto Marta nel libro citando Albert Camus: se nella crisi oggi siamo pienamente immersi, aggrapparsi alla letteratura rimane uno dei modi migliori per provare ad affrontarla.
Appuntamenti
Prima di salutarci, un appuntamento: sabato prossimo, il 21 giugno, primo giorno d’estate, sarò in un posto bellissimo, a Sauris, sulle Alpi Carniche, per la prima edizione del Festival del Digital Detox creato e diretto da Alessio Carciofi. Il posto è meraviglioso, il programma della manifestazione, che inizia venerdì e termina domenica, ricchissimo. Io avrò il piacere di parlare di un tema che mi sta molto a cuore: “Figli iperconnessi: come aiutarli a spegnere lo schermo e a riaccendere la vita”. Sarò sul palco con Giuseppe Lavenia e Ivano Zoppi: se sei da quelle parti, ci vediamo sabato mattina, alle 9.30.
Altrimenti ci leggiamo qui tra due settimane (promesso) 🧡
“Ci vuole un villaggio” è la newsletter che prende spunto da ciò di cui parlano i genitori la mattina fuori da scuola per provare ad allargare lo sguardo. Perché ho scelto questo titolo e il senso di questa newsletter, lo trovi spiegato meglio qui, nel primo numero.
Io sono Silvia De Bernardin, giornalista freelance e mamma. Da anni scrivo di genitorialità, ma anche di lavoro, salute, alimentazione, sostenibilità, turismo, libri. Mi trovi anche su Instagram e Linkedin e sulle pagine digitali, cartacee e social di Giovani Genitori, Vegolosi MAG, L’AltraMontagna e Job in Tourism.
Le immagini che danno forma visiva al villaggio di questa newsletter sono frutto della mano e della creatività magica di .
Leggi altre storie dall’archivio del villaggio:
Che bello sapervi insieme e che numero bellissimo per raccontare l'evoluzione della vita, del tempo e dei progetti. Viva Ci vuole un villaggio!
Scrivo con i lacrimoni agli occhi non solo per le belle bellissime parole che hai usato per descrivere il nostro lavoro insieme, ma anche perchè in questa newsletter ho ritrovato la risposta che cercavo a questi mesi pienissimi dove le stanchezza mi ha sopraffatta più volte: leggendoti mi sono accorta che c'è stato tanto altro, un sacco di passaggi importanti per me e per mia figlia, per me come lavoratrice, per me come donna nel mondo. Grazie davvero Silvia.
Evviva il villaggio! Evviva le radici!