#15 Ci vuole un villaggio I Costruire
Un po' di riflessioni, portate dal mare e dalla musica, sul tempo che passa, i momenti della vita, l'estate, le famiglie
Ciao!
Come stai? Lo so, questa newsletter fa un po’ come gli pare ultimamente, ma d’estate è quasi più difficile tenere insieme pezzi e ritmi, e anche di questo parleremo in questo numero.
Voglio raccontarti due cose che ho vissuto in queste settimane e che mi hanno fatto riflettere: provo a metterle in fila e a suggerirti qui e là qualche idea e collegamento utile.
Partiamo!
Prove di villaggio, versione mare
Finita la scuola, ho rifatto un esperimento riuscitissimo, già testato lo scorso anno: una settimana al mare, in Romagna, con bambina, nonni, zii, nipotina, amica (senza figli) e altre due famiglie di amici, anche loro con bambine e nonne al seguito. Mentre bambine e nonni si godevano il mare, noi genitori abbiamo lavorato da remoto raggiungendoli in spiaggia non appena possibile.
Prima riflessione: w i nonni (e la fortuna di averceli a disposizione)! Lo dico da sempre: in Italia sono loro il welfare delle famiglie con bambini - il fatto che lo dica è una mera constatazione dello stato dei fatti, non significa affatto che reputi che sia giusto così, tutt’altro. C’è, però, un aspetto della questione al quale pensavo mentre ero al mare circondata da nonni (nonne, soprattutto) che ha meno a che fare con le questioni dello stato sociale e più con l’idea del villaggio. Ai nonni pensiamo spesso come alla stampella che c’è o che manca e che può facilitare o meno la corsa continua delle nostre giornate. Invece, passare molto tempo, in quei giorni, anche con nonni che non sono i miei mi ha ricordato quanto può essere prezioso ascoltare storie che non sono la nostra, rispecchiarsi in modelli familiari altri, condividere tempo e parole con donne e uomini di altre generazioni per i quali, spesso, tempo e parole non ne abbiamo mai. Il villaggio, mi sono ricordata, non è solamente una risposta pratica alle difficoltà che ben conosciamo, ma è prima di tutto comunità, uno spazio in cui la “famiglia” come la conosciamo perde i confini nei quali l’abbiamo stretta per espandersi in forme nuove e umanamente più ricche. Per noi e per i bambini, che hanno la possibilità di conoscere sin da piccoli modelli educativi e possibilità di vita diverse familiarizzando con l’idea che, un domani, potranno scegliere liberamente quale voler costruire.
Qualche suggerimento:
i giorni passati a stretto contatto con tante persone di generazioni e con storie diverse mi ha ricordato quanto mi siano sempre piaciute, come genere letterario, le saghe familiari: è perché penso che sia lì, nelle storie di chi ci ha preceduto, che possiamo capire molto di noi. Mi piacciono soprattutto quelle capaci di rimandare, dietro alle vicende delle famiglie, pezzi di storia di un Paese, di una comunità, di un’epoca. Te ne consiglio tre per quest’estate: il classico dei classici “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg; “Prima di noi” di Giorgio Fontana e “La salita dei giganti” di Francesco Casolo (quest’ultimo lo leggerò nelle prossime settimane per il book club di cui ti ho già parlato diverse volte: se lo leggi anche tu, poi ne discutiamo);
a proposito di diversità delle famiglie e delle costruzioni sociali, c’è un podcast molto bello che racconta come sono fatte e come funzionano quelle delle altre specie animali. Si chiama “Il gorilla ce l’ha piccolo” e parla anche di sessualità: è un ascolto molto interessante, utile ad allargare lo sguardo alla famiglia “non umana” - cosa di cui, in tempi di crisi climatica, abbiamo un gran bisogno.
Seconda riflessione: quanto può essere bella l’estate per i bambini! Nei giorni al mare, lo ammetto, ho un po’ invidiato mia figlia e le sue amichette. Nei loro occhi ho visto la spensieratezza che sempre dovrebbe esserci negli occhi dei bambini (e che purtroppo è, anche questa, sempre più un privilegio). “Per forza, è in vacanza, al mare, a giocare tutto il giorno insieme ad altri bambini”, mi ha fatto notare un po’ cinicamente suo padre. È vero, ma non è solamente questo. Le guardavo e rimpiangevo quella capacità che hanno i bambini di saper stare nel qui e ora: di ridere a crepapelle ripetendo infinite volte una canzoncina appena inventata, di concentrarsi tantissimo per riuscire a fare una capriola in acqua fino a riuscirci, di leggere un libro, giocare a bocce, mangiare un gelato facendo quello e basta, senza che le mente a un certo punto si perda andandosene lontano, di addormentarsi all’istante, sfiniti, non appena toccato il cuscino. Ho pensato che quella tra la prima infanzia e le pre adolescenza è una finestra temporale speciale e che, anche se la vita farà presto il suo corso complicandosi un po’, come è normale che sia, spero di continuare a vedere negli occhi di mia figlia e delle sue amichette il sorriso di quelle giornate.
Qualche suggerimento:
tendiamo a riempire sempre più il tempo dei bambini al punto che, dicono le ricerche scientifiche, anche loro iniziano a sentirne la mancanza. Sul tempo dell’estate, sull’importanza di concedere ai bambini la possibilità di “fare il vuoto” dopo il lungo anno scolastico, anche assecondando il loro bioritmo, ti consiglio questo breve contributo della pediatra Carla Tomasini, che si chiude con un bel messaggio: “Saper staccare è una cosa che si impara da piccoli” (puoi vederlo qui);
queste giornate mi hanno ricordato uno dei miei libri preferiti dell’infanzia, “Vacanze all’isola dei gabbiani”, di Astrid Lindgren, la “mamma” di Pippi Calzelunghe. L’ho letto più di una volta, ma l’ultima avrò avuto dieci anni quindi ricordo pochissimo della trama, ma tutto dell’atmosfera di magia e spensieratezza dell’estate all’aria aperta che racconta e che, a distanza di tutti questi anni, ancora per me racchiude il lato bello di questi mesi dal tempo in qualche modo sospeso.
E tu, hai letture o cose belle da ascoltare, vedere o fare che sanno di estate da suggerirmi?
Terza riflessione: beata flessibilità! Di quanto sia difficile - e anche discriminatoria - l’organizzazione estiva con i bambini a scuole chiuse ho già parlato a lungo nel numero scorso e certamente questo è un momento dell’anno in cui lavorare smart può fare la differenza. Un papà del gruppo mare, lavoratore dipendente, mi ha raccontato la sua situazione: in questi mesi sta usufruendo, al posto della moglie, del congedo per la nascita della loro seconda bambina, che gli garantisce orario ridotto. In più, in occasione della settimana al mare, ha potuto lavorare in smart working ogni giorno, concordando gli orari con l’azienda. In questo modo, lui, la moglie - anche lei lì a lavorare - e la nonna hanno potuto giostrarsi meglio in quei giorni per stare dietro alle due figlie (di cui una di pochi mesi). Quando ascolto storie come questa ho la prova che andare incontro alle famiglie, lì dove la tipologia di lavoro lo permette, è una cosa che le aziende possono fare - e che va a tutto vantaggio delle aziende stesse (ne avevo parlato qualche mese fa qui).
In questo caso, sono io a chiedere a te un suggerimento: conosci altre storie virtuose come questa, nelle quali le aziende hanno rivisto il proprio modello organizzativo per favorire la conciliazione tra gli orari del lavoro e quelli della vita personale (vale anche se non sei genitore)? Raccontamela così poi ci ragioniamo insieme.
Quello che la musica può fare
Sì, il titolo che leggi sopra è una chiara citazione musicale. La seconda cosa che ho fatto nelle scorse settimane è stata, infatti, andare a due concerti (due in una settimana e ho realizzato che non ho più il fisico per farlo!), quello di Max Pezzali e quello dei miei adorati Fabi, Silvestri, Gazzè. Scatenato a effetto nostalgia il primo, intenso e commuovente il secondo (ho ancora negli occhi e nelle orecchie la bellezza di quelle tre ore al Circo Massimo, a Roma, e credo che la porterò con me a lungo). Durante entrambi, mentre la musica andava, a un certo punto, mi sono ritrovata a riflettere sul tempo che è passato. “Come mai” è stata la prima canzone pop che ho imparato da bambina, con “Vento d’estate” ho scoperto Niccolò Fabi e, soprattutto, Max Gazzè, e molta di quella che sarebbe diventata poi la musica capace di rappresentare meglio il mio mondo.
Come è potuto succedere? È bastato distrarsi un attimo perché gli anni ci scorressero via così, tra le mani? Che ne è stato di quando “eravamo giovani”?
Siamo portati a pensare agli “anni in motorino sempre in due” come a quel momento della vita in cui ogni cosa, con quel sapore di nuovo, non potrà che essere meravigliosa: senza l’eccitazione da prima volta, ciò che verrà poi sarà certamente meno brillante o, quantomeno, un po’ più scontato. Poi, quando il tempo passa, per non rompere la magia, finiamo per togliere la gioventù dalla vita assegnandola al mito, della nostra storia personale e di quella collettiva.
Ma, nei fatti, non va esattamente così o, almeno, non nel modo in cui la nostalgia tende poi ad avvolgere sapientemente i ricordi. Mentre Max (Pezzali) suonava forte i suoi “Anni” ho fatto pace con l’idea che, con un certo modo di “essere giovane”, io non mi sia mai sentita propriamente a mio agio, con la sensazione che ho avvertito spesso di essermi persa o lasciata sfuggire qualcosa. Forse, se quello è l’essere giovani, io giovane non lo sono stata mai, mi sono detta tante volte. O, forse, semplicemente, sono stata ragazza a modo mio. In ogni caso, è andata così. Certamente, in quelle ore liberatorie di musica e parole, è come se avessi avuto davanti uno specchio capace di rimandarmi, finalmente, un’immagine veramente mia, fatta di note, amore, politica, di vita (e della mia amata Roma). Ho avuto chiara la sensazione di sentirmi molto più me stessa oggi, a (quasi) 41 anni, di allora, mentre canto a squarciagola in mezzo ad altri quarantenni e cinquantenni come me, con un po’ di consapevolezza in più, la capacità di riconoscersi e quella libertà conquistata di “fare come mi pare” (qui la citazione è questa).
So di non essere l’unica, anche se questa è una di quelle cose che non si dicono per non infrangere il mito della bella gioventù. Invece, possiamo ammetterlo: diventare grandi può essere, anche, estremamente liberatorio.
C’è una canzone meravigliosa di Niccolò Fabi che questa cosa la dice benissimo, si intitola “Costruire” e nel ritornello fa così:
Ma tra la partenza e il traguardo
Nel mezzo c'è tutto il resto
E tutto il resto è giorno dopo giorno
E giorno dopo giorno è
Silenziosamente costruire
E costruire è sapere
È potere rinunciare alla perfezione
Ecco, mentre ascoltavo la mia musica preferita e il sole tramontava sulla mia città del cuore, mi sono ricordata che il bello è davvero tutto qui: nei momenti che riusciamo a mettere insieme, giorno dopo giorno. Che, a guardare bene, le cose belle e imperfette continuano ad accadere, sempre.
E questo numero si chiude qui 🧡 Se ti è piaciuto, ricordati che puoi inoltrare la newsletter a chi vuoi dal bottone qui sotto: è un modo facile per passare parola e farla crescere:
Noi ci sentiamo presto, almeno un’altra volta prima della pausa di agosto 🌊⛰️
ps. Quando già avevo finito di scrivere gran parte di questa newsletter è uscito il numero di
, la newsletter di , dedicato proprio a quello che “la musica può fare” che mi ha spiegato meglio, in termini scientifici, qual è la forza che la musica può esercitare su di noi (te lo consiglio vivamente: lo trovi qui). Anche Nina era al Circo Massimo e, se anche tu c’eri, hai capito di cosa stiamo parlando 🧡“Ci vuole un villaggio” è la newsletter che prende spunto da ciò di cui parlano i genitori la mattina fuori da scuola per provare ad allargare lo sguardo. Perché ho scelto questo titolo e il senso di questa newsletter, lo trovi spiegato meglio qui, nel primo numero.
Io sono Silvia De Bernardin, giornalista freelance e mamma. Da anni scrivo di genitorialità, ma anche di lavoro, salute, alimentazione, sostenibilità e turismo, tutte cose che hanno a che fare l’una con l’altra molto più di quanto sembri. Qui ci troverai anche un po’ di questi temi. Mi trovi anche su Instagram e Linkedin e sulle pagine digitali, cartacee e social di Giovani Genitori, Vegolosi MAG e Job in Tourism.
Grazie a te Serena 💚 Realizzo solamente ora, leggendo il tuo messaggio, che non l'ho scritto ma certamente osservare l'estate di mia figlia, con i nonni e le amichette, rivivere attraverso di lei quella sensazione di tempo vuoto e insieme infinito deve avermi colpito così tanto perché mi ha riportato alle lunghe estati passate all'aria aperta in campeggio con mia nonna: un pezzo fondamentale della mia infanzia e adolescenza. È proprio come scrivi tu 💚
quanti Max nella tua vita e nelle tue orecchie! Leggendoti, mi hai fatto tornare in mente le mie estati a trascrivere i testi delle canzoni di Festivalbar dal walkman al diario... Le ore fatte di niente, cicale, pennichelle, tuffi in mare e sempre lei, la musica. Speriamo di vederci a Roma in autunno noi tre e di imparare la lezione dai bambini, riappropriandoci dell'estate fatta "come ci pare" (semicit.)
@silvia de bernardin @serena blasi